16.12.07

denny

denny arriva tra poco. come lo zucchero ad alfredino. mi ricordo di lui, nel pozzo. mi ricordo del nonno nicola e della poltrona di finto cuoio rosso. mi ricordo del bambino morto nel pozzo. mi ricordo che volevo morire, ma non sono morta, perché non si puo' decidere.
quindi denny arriva. perché non si puo' decidere. perché da qualche parte una farfalla avrà sbattuto le ali e determinato che qui a parigi ci sarà un po' d'amore anche per me. denny non sa di questo blog, e se lo sapesse, forse, ne aprirei un altro. perché certe cose, mi dice, non si devono dire. certe ombre scure e dense è giusto tenersele per se. allora scrivo e penso ogni tanto a chi passa di qui. penso a dippi' (vorrei un giorno vederlo davvero) ed alla salernitana, che prima di conoscerlo, manco lo sapevo che era una squadra (ops). penso a b., ai suoi occhi come fulmini di carbone, al tormento della mente, quando affonda le unghie nello spirito. quando si ostina a costruire formule, come se la pietra filosofale esistesse davvero. bello sognare con lei, come se il mondo, a volte, ci somigliasse. vorrei un mondo solo di lei e me, di formule e di sesso. e l'amore che si spiega in cifre, la pelle in precise geometrie...
penso a d.c. e a el. che passano in silenzio di qui. che leggono e non lasciano commenti, che forse più di tutti capiscono senza conoscermi. mi sento meno sola, quando li incontro qui.
mi sento come se parigi non si stesse svuotando del mio amico. ma perché. perché. 
in più la bottiglia è finita, solo per ridere, avrei dovuto averne di più per stanotte.
ma denny arriva. e devo ritrovare la coperta arancione stasera. 

whisky

Quante volte. quante volte il pomeriggio della domenica. odio il pomeriggio della domenica con le sue nuvole bianche, quando i morti volano e le ombre sanno di sangue rappreso.
c'era la canzone di Amelie in macchina, tornando dal 92. poi c'era piaf, c'erano le finestre illuminate del foyer. c'erano gli occhi di vetro ed il pomeriggio. il pomeriggio interminabile della domenica. c'era la mascherina sul sorriso alla finestra della policlinico. odio i dottori. li odio tutti. uno ad uno. messi li' in fila. e poi uccisi. uno ad uno. anche candy con la sua inutile bontà.
la foto in bianco e nero sulla sua scrivania era corrosa sul muro, o dentro, dentro il petto. con la cornice blu. col post-it giallo. più dentro. poi chissà dove si va a finire, se si va più in fondo. lungo le vene, dietro la schiena, lungo le ossa lunghe. sotto i piedi. ed il parquet. il gatto bianco fissa il muro come un pazzo. invece io non posso neanche guardare fuori dalla finestra, perché il vetro si è offuscato, come se facesse caldo qui. invece ho il cappotto addosso e stringo i pugni nelle tasche per non fare vedere che tremo. tanto lui ha sempre pensato che io fossi la più forte. tanto lui non fa eccezione qui  (ma solo nel mio cuore). quindi alla fine mi sono seduta sul letto. proprio alla punta, come in biblioteca. ed era quasi naturale sentire che era morbido. sentire il contorno dei pensieri come un tumore sporgente sul cranio. seguire sorridendo la strada conosciuta. guardare le labbra di chi sta raccontando e cancellare i suoni. tutti i suoni. le voci. anche senza calcestruzzo e senza mattoncini rossi, la torre s'innalza snella e superba. cosi' alta è stasera, da nascondere il cielo. penso alle pillole bianche, come non facevo da mesi. so che appena arrivero' a casa, correro' a cercarle in bagno. poi mi ricordo che sono scadute, che un giorno che ero forte le ho buttate via. mi ricordo che avevo riempito una busta intera, cercando in ogni cassetto, sotto il cuscino, in bagno ed in cucina, in tutte le borse.