c'era la canzone di Amelie in macchina, tornando dal 92. poi c'era piaf, c'erano le finestre illuminate del foyer. c'erano gli occhi di vetro ed il pomeriggio. il pomeriggio interminabile della domenica. c'era la mascherina sul sorriso alla finestra della policlinico. odio i dottori. li odio tutti. uno ad uno. messi li' in fila. e poi uccisi. uno ad uno. anche candy con la sua inutile bontà.
la foto in bianco e nero sulla sua scrivania era corrosa sul muro, o dentro, dentro il petto. con la cornice blu. col post-it giallo. più dentro. poi chissà dove si va a finire, se si va più in fondo. lungo le vene, dietro la schiena, lungo le ossa lunghe. sotto i piedi. ed il parquet. il gatto bianco fissa il muro come un pazzo. invece io non posso neanche guardare fuori dalla finestra, perché il vetro si è offuscato, come se facesse caldo qui. invece ho il cappotto addosso e stringo i pugni nelle tasche per non fare vedere che tremo. tanto lui ha sempre pensato che io fossi la più forte. tanto lui non fa eccezione qui (ma solo nel mio cuore). quindi alla fine mi sono seduta sul letto. proprio alla punta, come in biblioteca. ed era quasi naturale sentire che era morbido. sentire il contorno dei pensieri come un tumore sporgente sul cranio. seguire sorridendo la strada conosciuta. guardare le labbra di chi sta raccontando e cancellare i suoni. tutti i suoni. le voci. anche senza calcestruzzo e senza mattoncini rossi, la torre s'innalza snella e superba. cosi' alta è stasera, da nascondere il cielo. penso alle pillole bianche, come non facevo da mesi. so che appena arrivero' a casa, correro' a cercarle in bagno. poi mi ricordo che sono scadute, che un giorno che ero forte le ho buttate via. mi ricordo che avevo riempito una busta intera, cercando in ogni cassetto, sotto il cuscino, in bagno ed in cucina, in tutte le borse.
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